MILANO – Ci sono immagini che fanno la storia, e recentemente Donald Trump ne è stato protagonista. E ci sono grafici che aiutano a decifrala, o quantomeno restituiscono un po’ di ordine ai momenti più convulsi della contemporaneità. I secondi primi cento giorni di Trump, quelli compiuti dal suo mandato bis alla guida del Paese più importante del mondo, hanno segnato il trionfo dell’incertezza. Scalfito la “Pax americana”. Almeno nel mondo degli affari: “incertezza” è la parola sulla bocca di tutti gli operatori dei mercati finanziari, la più ricorrente nei discorsi dei capitani d’azienda, quella cui si riferiscono gli economisti.

Un report di “The investment institute”, creatura di Unicredit per l’analisi dei principali fatti economici, mette in fila i dieci grafici che sintetizzano il grande sconvolgimento in atto. Impennata dell’incertezza politica e delle aspettative di inflazione da parte degli americani, causa dazi. Fiducia dei consumatori e tasso di apprezzamento per Tump in calo, a braccetto. Un sistema di regole internazionali (scritte e non) preso a picconate; le risposte che passano dalla legge del taglione cinese o dall’avvio di piani di spesa pubblica, quelli tedeschi, che fino a poco fa sembravano tabù. Discese ardite sui mercati e poi risalite nella speranza di un ritiro delle misure Usa più destabilizzanti, segni di perdita di fiducia verso asset (i Treasury e il dollaro) che nessuno si sognava di discutere. L’abbraccio all’oro come unico porto sicuro. Cosa aspettarsi ora? “Guardando avanti, prevediamo che i dazi saranno fissati al 10% per la maggior parte dei paesi, mentre quelli sulla Cina resteranno superiori ma significativamente più bassi dell’attuale 145% – spigano gli economisti di Uniredit – La Fed darà probabilmente priorità alle preoccupazioni sull’inflazione rispetto ai rischi recessivi, tagliando i tassi d’interesse soltanto una volta entro fine anno”.

In attesa di vedere cosa davvero succederà, ecco le dieci istantanee di questi cento giorni.

1 – Il gradimento in picchiata

Il gradimento in picchiata, solo Trump (I) fa peggio. L’indice di gradimento di Trump è molto basso se paragonato a quello dei precedenti presidenti allo stesso punto del loro primo anno di presidenza. Nel sondaggio condotto da Gallup il 21 aprile, l’indice di gradimento di Trump era del 44%, in calo rispetto al 47% registrato subito dopo l’insediamento del 20 gennaio 2025. Nel dopoguerra, solo l’indice di gradimento dello stesso Trump durante il suo primo mandato è stato più basso, pari al 41%. Le bocciature peggiori? Su “tariffe” e “inflazione”. Il trend dovrebbe preoccupare la Casa Bianca in vista del medio termine del 2026, anche perché nella seconda parte del suo mandato dovrebbe concretizzare le promesse su tagli alle tasse e deregulation: senza il Congresso può esser complicato. 

2 – Incertezza da record: frenano gli investimenti

Mai così tanta incertezza sul commercio. Stando agli articoli di giornale, mai si era visa tanta incertezza sulla politica commerciale americana: picco dall'inizio della serie a metà degli anni Ottanta. "Il persistere di un'elevata incertezza aumenta il rischio che le aziende adottino un atteggiamento attendista. Ciò tenderebbe a ritardare e/o ridurre le assunzioni e la spesa globale in investimenti", spiega Unicredit.

Mai così tanta incertezza sul commercio. Stando agli articoli di giornale, mai si era visa tanta incertezza sulla politica commerciale americana: picco dall’inizio della serie a metà degli anni Ottanta. “Il persistere di un’elevata incertezza aumenta il rischio che le aziende adottino un atteggiamento attendista. Ciò tenderebbe a ritardare e/o ridurre le assunzioni e la spesa globale in investimenti”, spiega Unicredit. 

3 – L’impennata delle tasse doganali

L'impennata delle tasse doganali. Il grafico mostra il dazio medio sulle importazioni statunitensi di beni dalla Cina e dal resto del mondo, insieme alla tariffa media sulle importazioni cinesi dagli Stati Uniti. Se nei rapporti Washington-Pechino siamo saliti a livelli punitivi ben superiori al 100%, verso il resto del mondo - nonostante il congelamento dei dazi reciproci e il mantenimento di quelli al 10% - siamo comunque ben sopra il livello raggiunto alla fine dell'anno scorso (circa il 3%). Tutti sono appesi ai negoziati ma "più a lungo si protrae questa situazione di stallo, più alti sono i rischi di un grave shock per l'economia globale".

L’impennata delle tasse doganali. Il grafico mostra il dazio medio sulle importazioni statunitensi di beni dalla Cina e dal resto del mondo, insieme alla tariffa media sulle importazioni cinesi dagli Stati Uniti. Se nei rapporti Washington-Pechino siamo saliti a livelli punitivi ben superiori al 100%, verso il resto del mondo – nonostante il congelamento dei dazi reciproci e il mantenimento di quelli al 10% – siamo comunque ben sopra il livello raggiunto alla fine dell’anno scorso (circa il 3%). Tutti sono appesi ai negoziati ma “più a lungo si protrae questa situazione di stallo, più alti sono i rischi di un grave shock per l’economia globale”. 

4 – Cresce l’aspettativa di inflazione

Diverse misure per un unico concetto: gli americani si aspettano prezzi più alti. Il grafico mostra le aspettative di inflazione dei consumatori statunitensi per l'anno successivo, che di recente hanno subito un'impennata, soprattutto a causa delle tariffe annunciate e previste. Risulta addirittura superato, nell'indice dell'Università del Michigan, il pico dl 2021-2023 quando si era alle prese con lo shock inflattivo causato dall'invasione russa in Ucraina. "Con la probabilità che l'inflazione statunitense aumenti e la crescita economica diminuisca", ammoniscono gli economisti, il doppio mandato della Fed, inflazione al 2% e massima occupazione, potrebbe iniziare "a entrare in conflitto".

Diverse misure per un unico concetto: gli americani si aspettano prezzi più alti. Il grafico mostra le aspettative di inflazione dei consumatori statunitensi per l’anno successivo, che di recente hanno subito un’impennata, soprattutto a causa delle tariffe annunciate e previste. Risulta addirittura superato, nell’indice dell’Università del Michigan, il pico dl 2021-2023 quando si era alle prese con lo shock inflattivo causato dall’invasione russa in Ucraina. “Con la probabilità che l’inflazione statunitense aumenti e la crescita economica diminuisca”, ammoniscono gli economisti, il doppio mandato della Fed, inflazione al 2% e massima occupazione, potrebbe iniziare “a entrare in conflitto”. 

5 – La corsa al riarmo

Corsa al riarmo. Qui si vede la spesa per la difesa dei Paesi europei della Nato. "La spinta di Trump a sovvertire la forbice tra gli impegni statunitensi ed europei per la sicurezza" è piombata sul tavolo delle cancellerie del Vecchio continente. Germania, Polonia e Portogallo probabilmente useranno la clausola che consente di sforare i parametri sul deficit/Pil per sostenere investimenti militari; altri, come l'Italia e la Spagna non lo faranno ma hanno messo sul tavolo l'impegno a raggiungere l'obiettivo Nato di destinare il 2% del Pil alla difesa quest'anno. Si aspetta poi la riunione di giugno dell'Alleanza per un'ulteriore accelerazione.

Corsa al riarmo. Qui si vede la spesa per la difesa dei Paesi europei della Nato. “La spinta di Trump a sovvertire la forbice tra gli impegni statunitensi ed europei per la sicurezza” è piombata sul tavolo delle cancellerie del Vecchio continente. Germania, Polonia e Portogallo probabilmente useranno la clausola che consente di sforare i parametri sul deficit/Pil per sostenere investimenti militari; altri, come l’Italia e la Spagna non lo faranno ma hanno messo sul tavolo l’impegno a raggiungere l’obiettivo Nato di destinare il 2% del Pil alla difesa quest’anno. Si aspetta poi la riunione di giugno dell’Alleanza per un’ulteriore accelerazione. 

6 – Crolla la fiducia verso il Tesoro americano

La pressione sui Treasury. Dopo il Liberation day dl 2 aprile le borse sono crollate. Ma anche i titoli di Stato americani, solitamente beni rifugio, non se la sono passata bene. La volatilità si è impossessata dei mercati, la curva dei rendimenti dei titoli di Stato Usa si è fatta più ripida: vuol dire che gli investitori chiedono maggiore rendimento per prestare soldi a Washington con l'impegno a riceverli indietro dopo molto tempo. In poche parole, c'è meno fiducia. L'incertezza commerciale non aiuta, e il deficit statunitense che si accumula non rende tranquilli. Ma quel che più impressiona è la terza riflessione: si parla di "una disaffezione generale nei confronti degli asset statunitensi che, in una prospettiva di medio-lungo termine, potrebbe far perdere ai Treasury il loro status di bene rifugio". Vorrebbe dire la fine di un'epoca.

La pressione sui Treasury. Dopo il Liberation day dl 2 aprile le borse sono crollate. Ma anche i titoli di Stato americani, solitamente beni rifugio, non se la sono passata bene. La volatilità si è impossessata dei mercati, la curva dei rendimenti dei titoli di Stato Usa si è fatta più ripida: vuol dire che gli investitori chiedono maggiore rendimento per prestare soldi a Washington con l’impegno a riceverli indietro dopo molto tempo. In poche parole, c’è meno fiducia. L’incertezza commerciale non aiuta, e il deficit statunitense che si accumula non rende tranquilli. Ma quel che più impressiona è la terza riflessione: si parla di “una disaffezione generale nei confronti degli asset statunitensi che, in una prospettiva di medio-lungo termine, potrebbe far perdere ai Treasury il loro status di bene rifugio”. Vorrebbe dire la fine di un’epoca. 

7 – Il dollaro giù dal trono?

Anche il dollaro non se la passa bene. Se i rendimenti dei Treasury segnalano un calo di fiducia, la debolezza del dollaro - altro asset solitamene sicuro nei giorni di burrasca - amplifica questo dubbio. l grafico del Dxy mostra l'indice del dollaro contro le principali valute del G10: un calo di quasi l'8% dalla fine di febbraio. "Tuttavia, è improbabile che il dollaro Usa venga presto detronizzato come valuta di riferimento a livello mondiale, a causa della mancanza di chiare alternative". Però il fatto che già se ne parli, in termini concreti, la dice lunga.

Anche il dollaro non se la passa bene. Se i rendimenti dei Treasury segnalano un calo di fiducia, la debolezza del dollaro – altro asset solitamene sicuro nei giorni di burrasca – amplifica questo dubbio. l grafico del Dxy mostra l’indice del dollaro contro le principali valute del G10: un calo di quasi l’8% dalla fine di febbraio. “Tuttavia, è improbabile che il dollaro Usa venga presto detronizzato come valuta di riferimento a livello mondiale, a causa della mancanza di chiare alternative”. Però il fatto che già se ne parli, in termini concreti, la dice lunga. 

8 – Il colpo più duro alle Magnifiche Sette

Il mondo azionario rovesciato. Il grafico mostra come sono le Magnifiche Sette, le big del mondo tecnologico americano, ad essersi comportate peggio in Borsa rispetto all'indice generale di Wall Street (S&P500) e a quello europeo (Euro Stoxx 50). "Nelle settimane successive all'insediamento di Trump, i Magnifici Sette hanno perso collettivamente oltre 4mila miliardi di dollari di valore di mercato, prima che un rimbalzo a fine aprile offrisse un po' di tregua". Le tariffe hanno colpito "più duramente proprio i gioielli della corona americana", un sorta di danno autoinflitto: ma i fondamentali di prospettive crescita e primato globale tecnologico, dicono gli esperti, restano.

Il mondo azionario rovesciato. Il grafico mostra come sono le Magnifiche Sette, le big del mondo tecnologico americano, ad essersi comportate peggio in Borsa rispetto all’indice generale di Wall Street (S&P500) e a quello europeo (Euro Stoxx 50). “Nelle settimane successive all’insediamento di Trump, i Magnifici Sette hanno perso collettivamente oltre 4mila miliardi di dollari di valore di mercato, prima che un rimbalzo a fine aprile offrisse un po’ di tregua”. Le tariffe hanno colpito “più duramente proprio i gioielli della corona americana”, un sorta di danno autoinflitto: ma i fondamentali di prospettive crescita e primato globale tecnologico, dicono gli esperti, restano. 

9 – L’oro non smette di brillare

Il grafico dell'oro spot continua a macinare record, a botte del 25% da un anno con l'altro. Gli acquisti delle Banche centrali danno continuità al movimento, ma l'incertezza (sempre lei) seminata da Trump e "il dibattito sull'indipendenza della Fed (attaccata più volte dal Presidente che l'accusa di non tagliare i tassi) hanno spinto i prezzi dell'oro verso l'alto ancora di recente". Nel Trump 1 era salito del 60%, ora siamo a un terzo di apprezzamento in soli cento giorni. Resta un asset da mettere in portafoglio, secondo gli esperti, a copertura della volatilità.

Il grafico dell’oro spot continua a macinare record, a botte del 25% da un anno con l’altro. Gli acquisti delle Banche centrali danno continuità al movimento, ma l’incertezza (sempre lei) seminata da Trump e “il dibattito sull’indipendenza della Fed (attaccata più volte dal Presidente che l’accusa di non tagliare i tassi) hanno spinto i prezzi dell’oro verso l’alto ancora di recente”. Nel Trump 1 era salito del 60%, ora siamo a un terzo di apprezzamento in soli cento giorni. Resta un asset da mettere in portafoglio, secondo gli esperti, a copertura della volatilità. 

10 – Alluminio, un esempio di rincaro causa dazi

Gli impatti dei dazi hanno iniziato a farsi sentire, eccome, sui metalli industriali colpiti dalle tariffe al 25%. Lo mostra l'andamento del prezzo per l'alluminio nel Midwest degli Stati Uniti: il costo aggiuntivo (oltre al prezzo base dell'alluminio) che gli importatori statunitensi devono pagare per ricevere l'alluminio fisico, compresi i dazi e i costi di consegna. "Questo premio - spiega Unicredit - è salito di recente a 900 dollari/tonnellata, un livello che non si vedeva dall'inizio del 2022": significa che i costi alla dogana si stanno scaricando sui listini finali. Lecito aspettarsi un aumento dei costi di produzione per automobili e componentistica, costruzioni, imballaggi e beni industriali.

Gli impatti dei dazi hanno iniziato a farsi sentire, eccome, sui metalli industriali colpiti dalle tariffe al 25%. Lo mostra l’andamento del prezzo per l’alluminio nel Midwest degli Stati Uniti: il costo aggiuntivo (oltre al prezzo base dell’alluminio) che gli importatori statunitensi devono pagare per ricevere l’alluminio fisico, compresi i dazi e i costi di consegna. “Questo premio – spiega Unicredit – è salito di recente a 900 dollari/tonnellata, un livello che non si vedeva dall’inizio del 2022”: significa che i costi alla dogana si stanno scaricando sui listini finali. Lecito aspettarsi un aumento dei costi di produzione per automobili e componentistica, costruzioni, imballaggi e beni industriali. 

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here