Lo scandalo scoppia in silenzio, come sempre accade in Sicilia, dove l’ossimoro è regola. Con l’unica voce di una insegnante 56enne di Mazara del Vallo, malata di cancro, che i primi di marzo fa un esposto alla Procura della Repubblica segnalando di aver dovuto attendere 8 mesi l’esito dell’esame istologico dopo un intervento all’utero. Il referto, sollecitato numerose volte anche con lettere da parte dei suoi avvocati, ha infine diagnosticato alla donna un tumore al quarto stadio. Nel frattempo, durante la lunga attesa, il male aveva prodotto metastasi in tutto il corpo: la signora è ora in cura all’Istituto dei Tumori di Milano. Non era la sola, ad aver affrontato il calvario: si scoprirà successivamente al suo caso che c’erano 1.405 referti del 2024 e 1.908 del 2025, tutti riconducibili all’ASP di Trapani, ancora non evasi. Più di 3300 vite sospese, nell’incertezza del non sapere: ho un cancro oppure no? E del non potersi curare adeguatamente: sembrerebbe che alcuni interventi chirurgici siano stati portati avanti “al buio”, senza i risultati dell’istologico perché mai arrivato o perso. Dalla relazione che è da ieri sul tavolo del governatore Schifani emergerebbe anche il fatto che ci sono stati cento casi di tumore diagnosticato in ritardo. Mentre il ministro Orazio Schillaci ha disposto un’ispezione, a Palermo, ai piani alti dell’Assessorato alla Salute, i dirigenti dicono di non aver saputo nulla in tutti questi mesi e sostengono che nessuno li avesse mai avvertiti di questa enorme criticità: le colpe ricadono sul primario di anatomia patologica di Trapani, andato in pensione nello scorso mese di novembre e sul direttore generale dell’ASP della stessa città, Ferdinando Croce. Peccato, però, che la storia del “non sapere nulla” da parte dei vertici dell’Assessorato alla Salute crolli all’improvviso nel pomeriggio del 12 marzo, quando i familiari di un 68enne morto in dicembre, che aveva atteso il suo referto per ben 5 mesi, presentano anche loro un esposto in Procura: affermano di aver avvisato in settembre, tramite PEC, sia l’assessore alla Salute (Giovanna Volo, poi dimessasi a fine gennaio) sia il dirigente della Pianificazione Strategica Salvatore Iacolino, degli inaccettabili ritardi nella consegna dei referti. Nelle dichiarazioni che rilasciano a fonti di stampa, affermano testualmente che “adesso gli alti burocrati, commissari e manager “cadono dal pero”, dicendo che non sapevano nulla. Ma avevamo inviato mail, pec, fatto telefonate, tutte puntualmente inevase, erano tutti latitanti”.
UN SETTEMBRE CALDO
Non hanno mai avuto risposta, in quel mese di settembre, quando erano già passati 5 mesi dall’intervento del loro congiunto che sarebbe a breve morto di cancro. Del resto, settembre è stato un mese complicato, per la sanità siciliana: la regione usciva da molti scandali avvenuti nei Pronto Soccorso dell’isola, e proprio in quelle settimane iniziava un’attività di ispezione nei reparti di Emergenza-Urgenza da parte di una commissione tecnica istituita di gran carriera dalla Regione Siciliana. I risultati, scritti nero su bianco in una relazione di 40 pagine stilata da 17 tra direttori di Unità Operativa Complessa di emergenza-urgenza (cioè i primari dei più importanti Pronto Soccorso dell’isola) e direttori sanitari, che per tre mesi hanno visitato tutti i 67 PS dell’isola, però, risulta anch’essa segreta, o forse sparita. Il dirigente Iacolino, da noi avvicinato a fine febbraio durante una conferenza stampa tenutasi a Catania, alla richiesta di poterla leggere e commentare, ci ha risposto testualmente che il documento “è secretato” e che non lo possiede nemmeno lui. Anche solo questo sarebbe gravissimo: ma dalle tante indiscrezioni e fughe di notizie raccolte in giro per l’isola, soprattutto dai medici che sono stati testimoni delle ispezioni avvenute nei loro reparti, veniamo a sapere che la relazione sarebbe talmente scottante da aver indirettamente provocato, nel mese di gennaio, le dimissioni del precedente assessore, Giovanna Volo. Si parla, tra le tante altre cose, di reparti di Pronto Soccorso dove, in un anno, migliaia di pazienti sono costretti a rimanere in barella in attesa di un posto letto per molti giorni. Di gravi carenze nelle procedure aziendali di controllo, di mancanza di fondamentali apparecchiature per la telemetria, cioè il controllo continuo dei parametri vitali dei pazienti, di aree di triage non corrispondenti agli standard previsti e di mancanza di “camere calde”, cioè spazi coperti riservati ad ambulanze e mezzi di soccorso (inibiti ai pedoni).
ISPEZIONI IN TUTTA LA SICILIA
Ma facciamo un passo indietro: avevamo dato conto, in un articolo precedente, del coraggio dimostrato dalla politica nel conferire a medici che operano “sul campo” (e non ai soliti burocrati) un enorme potere di verifica e di critica, una metaforica “pistola carica” in mano a primari che da anni denunciano le falle nel sistema e chiedono dati, soluzioni, verifiche. Lo stesso dirigente Iacolino, in un’intervista esclusiva che ci aveva concesso nel mese di agosto, aveva dichiarato che «La commissione nasce proprio per cercare di capire cosa funziona e cosa no, i punti di forza e le criticità, e quindi risolvere i problemi. Saremo aperti a qualsiasi tipo di confronto, al contrario non avremmo fatto questa scelta così coraggiosa”. Da quel momento in poi, però, le nostre richieste di intervista sull’argomento commissione ispettiva sono tutte state ignorate: fino a marzo, quando si è resa disponibile al confronto, invece, la dottoressa Daniela Faraoni, che alla fine di Gennaio è subentrata a Giovanna Volo come Assessore alla salute. Peccato però che durante l’intervista, svoltasi i primi di Marzo a Palermo, l’assessore non abbia comunque voluto darci alcuna info sull’ ispezione, né tantomeno sulla relazione di 40 pagine prodotta da medici coinvolti. Alla nostra richiesta di poter discutere il documento con la “guida” dei primari che hanno svolto l’ispezione, per averne spiegazioni anche a livello tecnico e per poterne dare conto per un giusto dovere di informazione, risponde così: «Il documento attiene a un elemento interno dell’organizzazione. Se ci sono processi di messa in discussione di organizzazioni molto delicate, perché volte alla tutela della salute del cittadino, ho anche l’obbligo di preservare il cittadino da questo senso di disfattismo, di non fiducia e di lontananza». Dichiarazioni che non fanno altro che farci sospettare ulteriormente: cosa dirà mai questa relazione, se il più alto dirigente dell’assessorato lo definisce secretato e l’assessore arriva a dichiarare che non intende condividere i risultati pubblicamente per tutelare i cittadini?
UNA RELAZIONE SCOTTANTE
Secondo le indiscrezioni, la relazione -che tutti cercano senza successo, dai componenti della Commissione Sanità dell’Assemblea Regionale Siciliana agli iscritti SIMEU (Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza), ma soprattutto la cerca senza sosta il capogruppo di Italia Viva alla Camera, Davide Faraone che sul tema ha tenuto anche diverse conferenze stampa- dice sicuramente quanto basta per farci affermare che certi Pronto Soccorso dell’isola potrebbero rivelarsi non troppo sicuri. Cosa dire, infatti di alcuni presidi ospedalieri -soprattutto nell’area tirrenica- dove non risulterebbero formalizzate procedure aziendali sulla gestione del sovraffollamento (il rapporto tra il numero effettivo di pazienti presenti in PS e quello massimo possibile, fissato dalla direzione aziendale)e, come dimostrato da recenti casi di cronaca, anche sulla gestione dei farmaci a rischio? Non per nulla la scorsa estate in alcuni PS della fascia tirrenica sono stati somministrati farmaci oppioidi scaduti. Tutto ciò, quanto può influire sulle chance di un paziente di arrivare in questi Pronto Soccorso e uscirne indenne? Non è dato saperlo: è certo però che molti di questi reparti, situati nella provincia di Messina, sono stati tristemente protagonisti, negli scorsi mesi, di numerosi casi di presunta malasanità. Peraltro, questi Pronto Soccorso sono punti di riferimento anche per le isole Eolie, con un bacino di utenza di centinaia di migliaia di turisti. La relazione parlerebbe anche di standard organizzativi, di sicurezza e qualità delle cure complessivamente accettabili nella maggior parte dei Pronto Soccorso dell’isola, ma questo suggerisce che esistono, per contro, profili di arretratezza e di “perifericità” in alcuni dei numerosissimi (forse troppi) presidi siciliani che sono rimasti indietro e la cui esistenza è probabilmente solo una falsa sicurezza per la popolazione. Si pensi, per esempio, al Pronto Soccorso di Noto, del quale ci siamo già occupati in una precedente inchiesta, che rimane aperto solo dalle 8 del mattino alle 20 della sera. Allo scoccare dell’ora di chiusura, carica eventuali pazienti in ambulanza (con tutti i rischi del caso) e li trasferisce al nosocomio di Avola.
TUTTE LE CONTRADDIZIONI SUL BOARDING
Emergono dolenti note, riguardanti tutta l’Isola, anche sul fenomeno del “boarding”, cioè di quei pazienti che sono costretti a stazionare per più giorni in Pronto Soccorso in attesa di ricovero, perché nei reparti di degenza non ci sono posti liberi: mentre non è ancora spenta l’eco del caso della signora Maria Truglia, morta dopo 6 giorni trascorsi in barella nel Pronto Soccorso dell’ospedale Ingrassia di Palermo (caso trattato da tutti i media nazionali). Ma questo, ci dicono, non è certo un caso isolato: nei Pronto Soccorso dell’isola infatti, in un anno, migliaia di pazienti restano sulle barelle per molti giorni: in condizioni di promiscuità ed in assenza dei più elementari comfort che sono propri di un reparto di degenza, mentre sono difficili da garantire in un pronto soccorso. La Policy Statement della SIMEU società scientifica di riferimento delle aree di emergenza italiane afferma infatti che “Il boarding e il sovraffollamento hanno conseguenze negative sul sistema sanitario. Per i pazienti peggioramento degli esiti con aumento della mortalità, ritardi di valutazione e trattamento, aumento dei tempi di degenza, rischio di nuovo ricovero a breve termine, violazione della privacy, gradimento ridotto, esposizione agli errori; per gli operatori mancata aderenza alle linee guida di buona pratica clinica, aumento dello stress e del burn out, aumento degli episodi di aggressione da parte degli utenti; per l’ospedale inefficienza del sistema, per presa in carico in PS dell’attività inappropriata di gestione dei pazienti in boarding, aumento dei tempi di degenza in ospedale, ridotta attrattività e incremento di trasferimenti/dimissioni del personale dei PS (con crisi di reclutamento e difficoltà a garantire il servizio). Tale posizione coincide con quella delle più avanzate organizzazioni sanitarie mondiali. Sembra però che l’assessore Faraoni abbia un’altra visione del problema, e cioè che sia quasi una responsabilità e una scelta dei primari di Pronto Soccorso, che invece ne sono vittime, perché la permanenza di pazienti complessi nei loro reparti non fa altro che assorbire risorse (medici, infermieri, oss) che invece dovrebbero essere dedicati alle emergenze. «Alcuni dei nostri primari di Pronto Soccorso» spiega l’assessore «Ritengono che il boarding sia un mezzo efficace per poter trattenere sotto osservazione una persona prima di mandarla a casa, senza andare a sconvolgere la realtà dei reparti sovrastanti, cosa che avverrebbe se si ricoverassero grandi numeri di pazienti. Alcuni dei primari la pensano così: come fosse una cosa positiva. Sembrano attività che prendono forma nella quotidianità come fosse un fatto normale. Noi invece vogliamo eliminare questo concetto». Peccato che a smentirla, o a testimoniare quantomeno una mancanza di strategia comune, arrivi il commissario straordinario dell’azienda ospedaliera Villa Sofia-Cervello Alessandro Mazzara, che proprio ieri (durante l’inaugurazione della nuova OBI, Osservazione Breve Intensiva del presidio Villa Sofia di Palermo) afferma che l’OBI sia una parte del Pronto Soccorso dedicata «A quei pazienti che, nel lasso di tempo necessario per essere poi ricoverati nei reparti di degenza, piuttosto che sostare senza assistenza adeguata, stanno in OBI dove vengono assicurate le stesse cure che riceverebbero nei reparti di Medicina, Chirurgia, etc». Solo che non c’è lo staff dedicato, anzi mancano i medici anche per le funzioni di Pronto Soccorso. Inoltre le linee guida ministeriali deputano l’OBI non ai pazienti da ricoverare ma a quelli con altissime possibilità di essere dimessi ma che necessitano, appunto, di una breve osservazione che può arrivare a 48 ore: lo dice la parola stessa. «Affermare che il boarding possa essere addirittura una volontà dei primari per alleggerire i reparti di degenza è un pericoloso controsenso» afferma Alessandro Riccardi, presidente nazionale di SIMEU « L’OBI è uno strumento potente per permettere al Pronto Soccorso di fare da filtro e ridurre i ricoveri ma solo se gestito da personale adeguato per numero (medici, infermieri e ossa) e in spazi adeguati e organizzati, e se ci sono indici di sovraffollamento elevati questo non succede. Il boarding soffoca la funzione dell’OBI. I pazienti vanno a finire in un grande calderone, vanno a occupare tutti i posti disponibili – e spesso anche i corridoi- senza che si riesca a smistarli opportunamente.». A testimonianza del fatto che il problema boarding non viene adeguatamente compreso a nessun livello della burocrazia sanitaria, ci giunge voce che a seguito della relazione sui PS, alcuni direttori generali dell’isola abbiano iniziato a imporre obiettivi di budget sul sovraffollamento solo al Pronto Soccorso, e non ai reparti di degenza: al danno di dover gestire un problema che non è responsabilità loro (se un paziente non può essere dimesso, e non c’è posto in reparto, il pronto soccorso cosa dovrebbe fare?) e che impatta fortemente sulla salute pubblica, il sistema anziché prendere in carico il problema adotta strategie punitive. Peccato che lo faccia senza una finalità tesa alla risoluzione del problema.
MANCANO I MEDICI
I problemi di organico sono enormi: nei Pronto Soccorso dell’isola mancherebbe circa il 50% dei medici previsti: e quei pochi si dibattono tra mille problemi organizzativi, tra i quali è estremamente preoccupante il malfunzionamento delle reti tempo-dipendenti, cioè quelle dell’infarto e dello stroke, criticità puntualmente rilevato dal sistema di valutazione esiti da parte dell’AGENAS. Sono ovviamente presenti anche grossi problemi strutturali (in parte risolti con i finanziamenti del PNRR previsti dal DL 34/2023). Ma sono ancora bisognosi di profonde ristrutturazioni -e questo l’abbiamo visto e testimoniato nelle precedenti puntate di questa inchiesta- alcuni tra i Pronto Soccorso più importanti dell’isola innanzitutto quello dell’ospedale “Vincenzo Cervello” di Palermo e del San Giovanni Di Dio di Agrigento: citiamo solo i maggiori perché proprio in questi, che hanno rispettivamente 30.000 e quasi 50.000 accessi all’anno, si riscontra unasituazione di critico sovraffollamento. In Sicilia si fa fatica persino a condividere le immagini diagnostiche (referti di tac e risonanze, per esempio) tra presidi ospedalieri appartenente anche alla stessa provincia. Sappiamo -per aver assistito più di una volta a queste dinamiche- che a volte i dischetti con i referti vengono portati da un ospedale all’altro tramite ambulanze o auto mediche dei presidi ospedalieri (!!) e altre volte fisicamente addirittura dai parenti dei ricoverati.
SE LA POLITICA DIFENDE SE’ STESSA
Una soluzione agli enormi problemi fin qui elencati, potrebbe essere la riduzione del numero di Pronto Soccorso presenti nell’isola. Del resto, a quasi parità di popolazione, in Sicilia esistono 67 Pronto Soccorso, e in Piemonte 33. Di questi 67, quasi la metà fanno meno di 20.000 accessi l’anno, e undici addirittura meno di 10.000: peccato che il DM 70 del 2015, il cosiddetto decreto Balduzzi (il regolamento sugli standard qualitativi, strutturali e tecnologici relativi all’assistenza ospedaliera) stabilisca in 20.000 il numero minimo per mantenere aperto un Pronto Soccorso, a meno che non si tratti di una zona disagiata. Del resto, dietro questa scelta non c’è soltanto un necessario taglio di risorse ma la necessità di non offrire alla popolazione una sensazione di “falsa sicurezza”: un ospedale non in grado di assicurare i livelli assistenziali che oggi si esigono, rappresenta infatti un rischio per chi li utilizza. Inoltre, chiuderli significherebbe poter potenziare e rendere più efficienti gli altri presidi ospedalieri -più grandi- che sono in sofferenza per carenza di personale, in un’ottica di razionalizzazione delle risorse, che vuol dire maggiore sicurezza e maggiore possibilità di efficientare il sistema. Ovviamente, chiudere un Pronto Soccorso non è impresa da poco, anche perché si rischia anche di trovarsi davanti a forti resistenze politiche di sindaci, deputati regionali e nazionali e senatori che spesso si intestano battaglie per difendere i piccoli presidi dei loro paesi e città di origine. In effetti esistono presidi che si potrebbe riconfigurare per esempio in strutture di riabilitazione perché o troppo piccoli o troppo vicini ad altri presidi più dotati: un breve excursus, solo per esempio e senza pretesa di completezza, ci dice per esempio che in Sicilia i Pronto Soccorso di Militello (paese natio del ministro Nello Musumeci e del deputato regionale del PD Giovanni Burtone), Ribera (dove è nato il presidente della DC isolana Carmelo Pace) e Noto che sono sotto i 10.000 accessi, sono molto vicini rispettivamente ai più grandi nosocomi di Caltagirone, Sciacca e Avola e potrebbero essere quindi riconvertiti. Giarre con 13.000 accessi è vicinissimo ad Acireale e a Catania. Di Noto, invece, abbiamo già parlato: andrebbe chiuso, ma i rumors dicono che esiste un gruppo di rom “caminanti” che lo utilizza praticamente come medico di base. Quando la politica ci ha provato, ne ha ricavato minacce. E sono solo esempi, tra i tanti.
UN FUTURO INCERTO
Schiacciati tra mille problemi, silenzi e omissioni, i cittadini siciliani vivono un momento di grande sconforto: lo scandalo dei referti istologici non consegnati dopo mesi e in diversi casi arrivati quando era troppo tardi, ha irrimediabilmente minato la fiducia dei pazienti, dei loro cari e di tutta la comunità nei confronti dell’intero sistema della sanità isolana. Sapere che la notizia girava da mesi ai piani alti dell’Assessorato non ha di certo migliorato le cose. «Troveremo le cause» ci dice Faraoni. «A me per ora interessa prioritariamente eliminare gli effetti di quanto accaduto nel più breve tempo possibile». Ma a questo punto, non sarebbe il momento, da parte della politica, di continuare nell’operazione trasparenza iniziata con la commissione ispettiva, istituita meritoriamente (e ne abbiamo dato atto) ma i cui risultati invece sono ora secretati? Evidentemente no: «La commissione ha avuto il compito di andare a verificare lo stato dell’arte dei reparti di emergenza urgenza, in un certo momento. Adesso ha esaurito le sue funzioni» ci ha dichiarato Faraoni durante l’intervista. E anche alla nostra richiesta di visitare i reparti di PS palermitani e di intervistare i medici, ci oppone un diniego. «Non sono luoghi di teatralità, il rendere nella drammaticità delle situazioni una condizione di spettacolo, fosse anche responsabilità di un’organizzazione sanitaria, non fa bene al popolo. I cittadini diventano poi estremamente reattivi nei confronti degli operatori, e mal disposti nell’accettare i difetti del sistema. Qualunque vostra immagine, adesso, non farebbe altro che rafforzare la sfiducia del cittadino». Forse, invece, sarebbe proprio il contrario. La trasparenza, la giusta comunicazione, la volontà di non nascondere nulla e di lavorare con chiarezza sulle criticità, potrebbero portare a una virtuosa collaborazione, a tutti i livelli, per cercare di ripartire da un punto zero, il punto più basso toccato in questi mesi, e ricostruire un rapporto di fiducia con le persone. A meno che l’operazione trasparenza non possa avere un seguito perché i risultati dell’ispezione sui 67 Pronto Soccorso dell’isola non si sono rivelati politicamente sostenibili. Speriamo di avere torto, temiamo di avere ragione.