Vicino a Quarrata, in provincia di Pistoia, c’è un luogo speciale: siamo a pochi chilometri dalla città, eppure l’azienda agricola ai piedi della catena montuosa del Montalbano gestita da Gabriella Michelozzi insieme alla sorella Stefania, sembra fuori dal tempo. Michelozzi se ne occupa da quasi quindici anni, curando anche una fattoria didattica e allevando i suoi animali. Mi ha preparato dei piatti gustosi e semplici con i prodotti della sua azienda, ma a tavola non mangia quasi nulla: del resto si è alzata molto presto, come ogni mattina, e quindi, confessa, ha già fatto uno spuntino. Si rivela una grande oratrice e comincia a raccontare com’è diventata, tra le altre cose, una pastora. Una delle tante che in questi anni stanno entrando in un settore tipicamente maschile, cambiandolo e aprendo delle prospettive nuove nella cura dei territori, spesso abbandonati o da cui tanti scappano.
Dopo la laurea in scienze agrarie, Michelozzi ha lavorato in un grande call center a Pistoia, con un contratto a tempo indeterminato. A causa della crisi economica del 2008 metà del personale, composto in gran parte da donne, rischiava la cassa integrazione. Così lavoratrici e lavoratori hanno occupato l’azienda per nove mesi, senza ricevere lo stipendio. “Dalla Caritas arrivavano pacchi di cibo per i lavoratori con marmellate, legumi, pane, formaggi. Tutti alimenti che non dovrebbero mancare mai, sempre presenti a tavola quando io e mia sorella eravamo piccole e i nonni erano contadini”.
Michelozzi ha deciso allora di provare a mettere a posto la casa dei nonni e ripulire tutto il terreno terrazzato dai rovi: “Mia madre ci aveva ricordato che nostra nonna teneva il prato in ordine con delle capre. Senza un soldo in tasca, quindi, sono andata a scambiare delle damigiane di vino per le mie prime cinque capre”. Da allora, di baratto in baratto, Michelozzi ha risparmiato per comprare altri animali e ha imparato a lavorare con loro. Oggi è una custode del territorio: con il ripristino dei terreni, quella che era una fattoria abbandonata è diventata una miniera di biodiversità e un agriturismo.
Superata un’insegna su una vecchia lamiera con su scritto “Lasciare libero lo scarroccio” spuntano le capre, le pecore e le mucche. Ci sono poi sette cani, qualche cavallo, un pony, conigli e polli. “Gli animali diventano la tua famiglia, per questo io dico sempre che fare questo lavoro non è faticoso anche se mi sveglio all’alba. Lo faccio con la voglia di andare a trovare le mie capre. ”.
Ma come si impara a fare le pastore? Nessuno ti spiega come si fa, dice Michelozzi, il mestiere si apprende guardando gli altri. All’inizio i pastori mi tenevano a distanza, ma a poco a poco, vedendo la mia costanza, hanno cominciato ad accettarmi. Andavo quando pascolavano, tosavano le pecore e facevano il formaggio. Ed è così ho imparato. Sono anche sicura che il rapporto che una donna ha con il proprio gregge non è lo stesso che ha un uomo. La donna crea e custodisce per natura, gli uomini sono cacciatori”, dice. “Conosco pastori di ottant’anni che ancora lavorano e si emozionano come bambini quando nasce un vitello. Perché se c’è una cosa che capisci facendo questo mestiere è che la vita è sacra”.
Sono donne soddisfatte della loro vita e trasmettono un senso di serenità e appagamento, raro di questi tempi. Alla domanda “cambieresti la tua vita?”, rispondono che non lo farebbero mai. E ribadiscono che la loro è stata una scelta di libertà. In un paese in cui solo il 4 per cento della popolazione si dice soddisfatto del proprio lavoro, è un dato interessante.
Una presenza sempre più visibile
Le pastore contemporanee sono piccole imprenditrici, quasi sempre laureate, preparate, consapevoli dell’importanza della biodiversità e sempre al passo con le nuove frontiere dell’agroecologia.
Com’è successo spesso in altri settori, la presenza femminile in questo campo non è nuova, ma è stata praticamente invisibile nel corso del tempo: le donne hanno sempre lavorato con gli animali, ma quasi mai da protagoniste.
Oggi però qualcosa è cambiato, e lo dicono i numeri. Delle 60mila aziende agricole in Italia, il 28 per cento è gestito da una donna, secondo Coldiretti: significa che ci sono donne, anche molto giovani, che hanno intrapreso questa attività con coraggio e grande slancio, da sole e senza per forza seguire una tradizione familiare. In effetti, parlando con gli esperti del settore, attualmente è evidente come siano proprio loro le più attive sia per la propensione all’innovazione sia per la capacità di recuperare attività come l’alpeggio, la caseificazione o la transumanza.
(Pietro Bertora per Internazionale)
Il mio primo “incontro” con loro è stato attraverso un film bellissimo e senza tempo: In questo mondo, di Anna Kauber. Nel 2018 è stato premiato come miglior documentario al Torino film festival e da qualche anno è diventato un cult, con decine di proiezioni in programma e una comunità che si è formata grazie alle sue immagini.
Kauber ha girato l’Italia per due anni e incontrato un centinaio di donne, a conferma del fatto che nel paese questa professione è viva e vegeta: “La vita da pastora”, racconta la regista, “è giocata sul fragile equilibrio tra l’economia e un territorio difficile, con pochi servizi e spesso semiabbandonato. Conoscere queste donne è stata un’esortazione alla resistenza, al coraggio di restare e rilanciare, cercando di non soccombere a una burocrazia vessatoria e all’ennesimo attacco di un lupo. I legami di solidarietà e scambio con le piccole comunità, l’empatia e la sorellanza delle donne pastore rappresentano un principio di libertà individuale potentissimo, portatore di una grande felicità interiore. E anche una forma di ecofemminismo di cui in Italia sembriamo non accorgerci”.
Secondo Lina Pecini, storica della transumanza e conoscitrice delle Alpi Apuane, che ha scritto a lungo delle nuove pastore, queste donne hanno sempre un forte senso di appartenenza al territorio. Nella Toscana appenninica e apuana i piccoli allevamenti, che in verità non sono mai del tutto venuti meno, potrebbero dare “nuove risposte alla crisi che colpisce queste aree a vari livelli grazie alla valorizzazione e alla promozione dell’agrobiodiversità locale, patrimonio materiale e immateriale di razze e varietà agricole, di usi e tradizioni. L’allevamento e l’agricoltura di oggi e del futuro non possono essere separati dal tema del riabitare la montagna, della salvaguardia delle risorse ecosistemiche, in cui la transumanza può e deve continuare ad avere una funzione salutare per gli animali e costituire anche un elemento di forte richiamo turistico”.
Carolina Leonardi, classe 1991, originaria di Terrinca, nell’alta Versilia, è una delle più giovani pastore e casare italiane. Nei suoi terreni ha sempre tenuto fede a questi princìpi, e oltre ad aver preso in gestione l’agriturismo di famiglia a poco più di vent’anni, fresca di laurea triennale in scienze agrarie a Pisa, ha fatto qualcosa di più: dopo aver rimesso a posto un vecchio alpeggio della bisnonna e comprato quaranta pecore massesi, un razza in via d’estinzione, ha cominciato a fare l’allevatrice e produrre formaggio per i suoi ospiti. A poco a poco il gregge è diventato più numeroso e oggi ha più di cento capi di bestiame tra mucche e ovini. Con il suo gregge fa la transumanza, andando da Montiscendi (non lontano da Pietrasanta e dalla spiagge della Versilia), dove le sue pecore passano l’inverno, fino a Pian del Lago, nel parco naturale delle Alpi Apuane, dove vive e lavora. Durante questo passaggio centinaia di persone, bambini e famiglie, passanti, curiosi e altri allevatori la seguono e organizzano una specie di festa.
(Pietro Bertora per Internazionale)
Minuta e agile come solo un’atleta può essere, Leonardi è stata una campionessa di surf e ancora oggi ogni tanto scappa al mare per prendere qualche onda: “Non è più l’ossessione di un tempo, mentre quella per gli animali invece non mi è mai passata”, racconta. La incontro al pascolo, in pianura, circondata dalle sue pecore e capre e dai suoi due cani, Mirtillo e Onda. All’inizio è distante e timida, ma nasconde una grande determinazione e anche molta esperienza rispetto alla sua età.
Dal suo lavoro ha imparato l’arte della pazienza: “Un’arte dimenticata, come la pastorizia”, scrive Kapka Kassabova nel suo libro sui pastori nomadi Anima. Una pastorale selvaggia (Crocetti 2024). “Il ‘tempo pastorale’ è un tempo verticale, si muove da una sommità di un’altura al fiume”, scrive l’autrice anglobulgara che ha trascorso lunghi mesi in un alpeggio con dei pastori. È un tempo in cui “l’anima riposa”, dicevano i vecchi pastori nomadi. Passando una giornata con Leonardi, e anche solo osservando la sua simbiosi con gli animali, la stanchezza sparisce.
L’azienda agricola e l’agriturismo, chiuso al pubblico nei mesi invernali, si trovano a Pian di Lago, a soli venti minuti a piedi dal passo della Croce, con vista sul mar Tirreno. Sulla destra, nel gelo del mattino, svetta il monte Corchia. Nella struttura si entra attraversando una veranda piena di lucine e un grosso specchio, ricavato da una vecchia finestra. All’interno Leonardi ha preparato una colazione con caffè nero, pane e marmellata di agrumi, formaggi e pancetta. Il camino è acceso. Lei sta cagliando il formaggio: “Intanto che ti aspettavo, ne ho approfittato”. Nella mangiatoria ci sono le mucche e la vitellina, che corre e saltella per i campi non appena la padrona la fa uscire.
Ed è qui, vicina ai suoi animali, che Leonardi si apre del tutto: “Penso che la caratteristica che ti porta a fare questa scelta di vita sia un desiderio di libertà. Si arriva alla pace dei sensi quando ti trovi immersa con i tuoi animali nella natura e nei pascoli ad alta quota, dove i suoni che senti sono quelli dei campanacci, del vento, degli animali, e poi c’è il movimento delle nuvole”, racconta. “Vedere gli animali rispettarsi tra loro è un grande insegnamento. Penso che questo spirito sia dato dal non etichettarsi, dal non definire un genere. Pur essendo femminista, e venendo da una famiglia matriarcale, a partire dalle due bisnonne, vivo nella speranza che tutto possa intrecciarsi con normalità tra uomini e donne, con gli stessi diritti, e che non esistano più lavori da donna o da uomo”. E aggiunge: “Da questo mestiere ho già imparato tante cose, ma soprattutto ad affrontare i problemi, e anche a ricavarmi del tempo libero da passare con gli amici o per fare cose normali, come uscire a mangiare una pizza”.
I territori montani hanno tutti i requisiti per diventare un laboratorio di nuovi possibili percorsi di vita e lavoro, un luogo in cui provare a esercitare il recupero del paesaggio e della qualità alimentare. Non bastano però i movimenti del basso, servono politiche mirate e azioni concrete. “La montagna è un territorio fragile”, continua Leonardi, “basta poco per spostare l’ago della bilancia da una parte o dall’altra. Diventa necessario, quindi, trovare un equilibrio e un’armonia tra natura ed essere umano, allevando per esempio le razze autoctone che si adattano al territorio, o imparare i principi dell’agrobiologia, che a poco a poco sto apprendendo”.
È importante poi costruire una comunità, fare rete, dare vita a consorzi; in modo da rendere più incisiva la tutela del territorio e far fronte alla pesantezza della burocrazia. Già dai primi anni duemila le donne si sono unite in un consorzio per la tutela dell’agnello autoctono. Ora, proprio in queste zone, c’è un progetto per creare una scuola di pastorizia, che potrebbe diventare anche un luogo di scambio di conoscenze e condivisione dei problemi.
Un’iniziativa simile alla Shepherd school, la scuola per pastori e allevatori nata sul modello di una scuola catalana e attiva già da tre anni a Pratovecchio, all’interno del parco nazionale delle Foreste casentinesi, in Emilia-Romagna. Le domande d’iscrizione nei primi due anni sono state più di 250, a fronte di otto posti disponibili all’anno. E mentre la pastorizia è stata dichiarata patrimonio immateriale dell’Unesco già nel 2019, si deve guardare anche al prossimo futuro: il 2026 sarà l’anno internazionale dei pascoli e dei pastori.
E chissà se le nuove pastore, che continuano a muoversi fra tradizioni millenarie e turismo sostenibile, non trovino anche in Italia maggiore sostegno alle loro scelte di vita e libertà.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo.
Scrivici a: posta@internazionale.it