Era in un momento di grande frustrazione, non era mai riuscito ad avere una relazione con una ragazza, si sentiva rifiutato e per questo si dava una spiegazione ideologica: sono le ragazze ad avere il potere di scegliere nelle relazioni e i ragazzi meno attraenti non hanno speranza. Mario (nome di fantasia), 23 anni, studente di economia in Belgio e originario di Bari, si definisce “incel”, celibe involontario.
Per dimostrare che quello in cui crede è vero a un certo punto è arrivato ad aprire degli account finti di ragazze e donne su app d’incontri come Tinder e Badoo, rubando delle foto online di sconosciute. Chattando con dei ragazzi si è convinto che quelli meno belli sono spacciati e che la bellezza è l’unico elemento che conta al livello sociale. “Anche la ragazza meno carina prende sempre più like di me”, racconta con un po’ di vergogna nella voce.
Caterina Bandinelli nel suo libro Le postromantiche (Laterza 2024) mostr come le app d’incontri hanno introdotto nell’amore e nel sesso i valori del mercato, di fatto favorendo il fallimento degli incontri che promuovono. “Un’app di questo tipo per guadagnare ha bisogno che gli utenti continuino a usarla, cioè che non trovino la persona giusta. All’apparenza può sembrare poco logico, ma per funzionare queste piattaforme non devono funzionare”, scrive Bandinelli.
Mario invece ha interpretato quei tentativi di approccio finiti male come la conferma di appartenere a una certa comunità di giovani maschi di cui aveva scoperto l’esistenza anni prima, sempre online. Durante la pandemia si era avvicinato alla cosiddetta manosfera, cioè ai forum, ai siti e ai gruppi online misogini e antifemministi. “Ero all’ultimo anno del liceo e passavo praticamente tutto il giorno davanti a uno schermo a giocare alla play station, oppure a navigare online. È così che mi sono imbattuto in questo tipo di contenuti”, racconta. “All’inizio mi ci ci ritrovavo, soprattutto nella descrizione che facevano di come mi sentivo: brutto, non attraente, ripugnante per le ragazze”.
Dice di non condividere le posizioni misogine più radicali di questi gruppi e la disumanizzazione delle ragazze. “Non le considero non-persone, né mi sono mai rivolto a una ragazza con aggressività, ma penso che ci sia un fondo di verità in quelle teorie”, racconta.
Secondo lui, le donne scelgono gli uomini con cui stare e per i ragazzi come lui non c’è speranza per ragioni “biologiche”. “Mi sento ripugnante, non attraente dal punto di vista sessuale. Questo è quello che mi fa stare più male”, racconta. E non è solo un fatto fisico: “La timidezza è la cosa peggiore, non credo che si possa fare niente per diventare attraenti, soprattutto per quello che riguarda il carattere. Non condivido le teorie degli incel redpillati, secondo cui si può cambiare. Secondo me non c’è niente da fare”.
Gli incel redpillati sono quelli che online hanno scoperto l’ideologia redpill, in base alla qualec’è un forte squilibrio tra uomini e donne e sono le donne ad avere più potere di scelta nelle relazioni. Mario è seguito da una psicoterapeuta da quando ha 17 anni, cioè da quando ha perso suo padre per un tumore. Era rimasto con la madre, che è un’insegnante, poi si è trasferito in Belgio per l’università. I suoi problemi non si limitano alle relazioni con le ragazze, non ha molti amici, e fino a un certo punto della sua vita non ne ha avuto nessuno.
“A scuola mi hanno bullizzato, anche da piccolo, mi prendevano in giro sia i ragazzi sia le ragazze. Alle medie ho attraversato il periodo peggiore. Tutto quello che facevo non andava bene, come mi vestivo, se avevo i capelli lunghi o se li tagliavo”, racconta. Una volta ha preso a pugni un compagno di scuola che lo bullizzava, nessuno è intervenuto e il compagno alla fine lo ha lasciato in pace. Nella scuola di Bari che frequentava c’era molta violenza tra i ragazzi. I professori non intervenivano, anche se i genitori avevano segnalato la situazione del ragazzo. “Mi hanno preso in giro ancora di più, perché i miei si erano andati a lamentare con gli insegnanti”, racconta.
Per questo dice di avere sviluppato una specie di fobia legata alle relazioni. “Ogni volta che andavo a una festa o a un compleanno mi sentivo male, vomitavo per l’ansia”, racconta. Non ha sorelle né fratelli. Gli piace leggere soprattutto saggi di geopolitica, giocare a scacchi, andare in palestra, viaggiare. Dice che le cose da qualche tempo vanno meglio, ha degli amici con cui uscire la sera e andare a ballare, con alcuni di loro condivide l’ideologia da celibe involontario. “Anche se tra qualche anno dovessi trovare una ragazza mi rimarrà sempre il rimpianto di avere passato così tanto tempo senza avere una vita sessuale, a farmi le seghe”, scherza.
Riconosce che più che una relazione gli interessa “avere successo dal punto di vista sessuale”, vuole essere finalmente accettato. La sua esperienza peggiore sono state le app d’incontri, dove nessuno ricambiava le sue attenzioni. “Anche se curavo il mio profilo e mettevo like a tutti”. Crede che il femminismo non sia necessario, “perché le donne hanno già ottenuto tutti i diritti molti anni fa” e pensa che si dovrebbe parlare di più del tipo di disagio che provano molti maschi, anche per evitare che “si radicalizzino”. “Forse se si discutesse di più di questo tipo di problemi, non ci si rivolgerebbe a questi gruppi e non si verificherebbero i casi più gravi”.
Mario prende le distanze da questi episodi. Ma trova ancora conforto nel credere che ci sia una legge di natura, una regola legata alla biologia, che spieghi il perché quelli come lui non hanno relazioni con l’altro sesso.
Qualcosa di simile succede ad Arrigo (nome di fantasia), 24 anni, studente e lavoratore. “Essere incel, per me, significa odiarmi: odiare me stesso e non gli altri, non le donne. Odio me stesso per non ridurmi a odiare gli altri. Non escludo, però, che odiandosi, come evidentemente il rifiuto continuo insegna a fare, una persona non possa approdare a soluzioni meno ragionevoli come il suicidio, la misoginia, il maschilismo o l’aggressività, che condanno”, spiega. Arrigo si sente brutto e dice che la bellezza è l’unico valore che regola le relazioni: “Nessuno vuole stare con un obbrobrio”. Tutti i tentativi di Arrigo fatti in passato sono finiti con un rifiuto da parte delle ragazze.
Spesso questo ha coinciso con il ghosting, con la loro scomparsa, senza spiegazioni. E questo per lui è l’aspetto più difficile da accettare. Ma mentre parla, piano piano Arrigo arriva a raccontare un fatto che lo ha segnato per sempre: ha subìto un abuso quando aveva otto anni da un uomo di trent’anni in un momento ricreativo organizzato dalla parrocchia. Non nega che questo trauma possa avere determinato la sua difficoltà successiva nelle relazioni. Ma aggiunge: “Io non odio quell’uomo che mi ha molestato, perché anche lui era molto brutto e probabilmente era esasperato da quella condizione”.
Secondo lo psicologo Marco Crepaldi, che si occupa da tempo di questo tipo di disturbi, l’aspetto della costruzione ideologica intorno all’assenza di relazioni è il segnale di una situazione psicologica preoccupante. “La serie Adolescence ha avuto molto successo e ha avuto il merito di far discutere di questi temi, anche se poi è importante che se ne parli in modo corretto”, spiega. “I cosiddetti incel sono ragazzi che hanno un blocco psicoemotivo e attribuiscono il problema a delle dinamiche di potere che sarebbero squilibrate a favore delle donne. Spesso si sentono brutti, hanno delle dismorfofobie, oppure hanno delle mancanze psicoemotive, fanno fatica a flirtare, a riconoscere le proprie emozioni e a esprimerle, a regolare le loro reazioni e a instaurare relazioni graduali ben prima del contatto sessuale vero e proprio. Spesso agire sul blocco psicoemotivo è più complicato che agire sulla dispercezione del proprio corpo”, spiega lo psicologo.
Crepaldi, che negli anni ha seguito diversi ragazzi con problemi del genere, sostiene che ci siano quattro macrogruppi: “I ragazzi che hanno una fobia sociale, quelli che hanno dismorfofobia, cioè un’ossessione per alcune parti del loro corpo che non ritengono belle – dalla mascella al taglio degli occhi – quelli che hanno un deficit socioemotivo, cioè che sono poco espressivi dal punto di vista emotivo. Può succedere che siano dei soggetti ad alto funzionamento cognitivo, quindi con competenze matematiche molto elevate, ma contemporaneamente hanno una mancanza di competenze socioemotive. Poi ci sono degli iperselettivi, che tramite i social network si costruiscono dei modelli irraggiungibili di bellezza e non riescono ad avere relazioni con ragazze in carne e ossa. Quest’ultima caratteristica è più rara, a volte i diversi gruppi s’incrociano”.
Secondo lo psicologo, questo tipo di disturbi andrebbero affrontati con un sostegno psicologico, in alcuni casi con la psicoterapia in altri con i farmaci, ma i ragazzi spesso non parlano con nessuno del loro disagio, perché se ne vergognano, quindi cercano conforto online, dove incontrano siti, chat, forum che hanno costruito un sistema di socializzazione intorno a questo disagio, e che in alcuni casi prevedono anche dei percorsi di radicalizzazione violenta.
Sonia Cucculelli per Internazionale
I ragazzi con questi problemi che finiscono nella manosfera poi incappano nell’ideologia redpill, cioè in tutta una serie di idee che negano l’esistenza del patriarcato e che credono nella presenza invece di una “ginecocrazia”, un sistema in cui le donne hanno il potere sessuale, anche se gli uomini continuano a mantenere quello economico e politico. Gli incel redpillati credono che la loro condizione di maschi celibi dipenda dalle loro caratteristiche psicologiche e fisiche. “Gli serve per dare la responsabilità della loro condizione alla genetica e colpevolizzare le donne che non li vogliono oppure addirittura i genitori, che sarebbero responsabili del loro patrimonio genetico, e infine l’intera società”, continua Crepaldi.
“L’incel redpillato pensa che le donne abbiano criteri di selezione immorali e che prediligano gli uomini aggressivi e violenti, non crede al patriarcato, cioè a un sistema di potere storico che ha conferito agli uomini un ruolo dominante. Per questo si oppongono a ogni femminismo ed esprimono nostalgia per le società più tradizionali”, spiega lo psicologo.
Cepaldi è convinto che si dovrebbe parlare di più dei modelli che i ragazzi ricevono nella loro educazione: “Dovremmo introdurre idee meno tossiche di maschile, ma gli adulti e l’intera società continuano ad adottare modelli molto tradizionali e quindi molto maschilisti. Nella serie Adolescence si parla del guru maschilista Andrew Tate, ma ce se sono moltissimi, pensiamo ai trapper. Su internet, in tv, nella musica, nei porno, i ragazzi sono ancora sottoposti all’immagine di un maschile molto machista e i modelli meno tradizionali non sembrano avere tanta presa”.
Secondo Gaia Antinelli, ricercatrice del dipartimento di comunicazione dell’università Sapienza di Roma, i gruppi di incel online e la manosfera sono un fenomeno ancora recente in Italia e tutto sommato minoritario, che si sta però diffondendo velocemente dagli Stati Uniti, dove il fenomeno esiste da più tempo ed è più radicato.
“In Italia esistono molti forum, per esempio il Forum dei brutti, che credo sia il più visitato dagli incel italiani, anche perché è aperto. Poi esistono anche gruppi chiusi, sicuramente una piattaforma di riferimento è Telegram, molto usata per esempio per la diffusione non consensuale di immagini intime. Telegram è un po’ la nuova frontiera della misoginia online, che tuttavia cambia molto rapidamente piattaforme proprio per non essere bloccata”, spiega Antinelli. Alle chat su Telegram e al substrato di violenza che impregna una certa socialità dei giovani maschi online è dedicato anche lo studio di Lucia Bainotti e Silvia Semenzin della facoltà di sociologia dell’università statale di Milano che hanno pubblicato il saggio Donne tutte puttane, revenge porn e maschilità egemone.
“In Italia non ci sono ancora degli studi sistematici su quello che succede su questi siti, siamo un po’ in ritardo e non riusciamo nemmeno ad avere un’analisi quantitativa”, spiega Antinelli, che nel 2024 ha pubblicato la ricerca Accessing closed groups: ethical and methodological limitations of studying incel groups, e che ora sta lavorando a un’altra ricerca sulla diffusione del fenomeno in Europa insieme all’università di Copenaghen, in Danimarca. In Italia non ci sono ancora figure di riferimento come quella di Andrew Tate negli Stati Uniti, ex kickboxer e imprenditore, che si è presentato come un guru della misoginia e del sessismo.
Per Antinelli online ci sono dei meccanismi di adescamento dei ragazzi, che trovano terreno fertile in quelli che già presentano un determinato disagio psicologico. “In un certo senso un ragazzo che si sente frustrato, si sente accolto da questi gruppi. Un’ideologia così forte ha un potere su persone che hanno un tipo di sofferenza psicologica e grazie alla condivisione della sofferenza riescono ad alleviarla”, spiega. Ma è un meccanismo molto pericoloso.
“Questo tipo di sofferenza può degenerare in dinamiche violente, com’è già successo negli Stati Uniti, in cui ci sono stati degli attacchi che hanno fatto vittime in nome dell’ideologia incel. Il più famoso è quello del 2014 in California, compiuto da Elliot Rodgers. In Italia sarebbe il caso di cominciare a prestare attenzione a queste comunità online, che si muovono in maniera molto simile a quelle dei suprematisti bianchi e dell’alt-right”, conclude.
Per lo psicologo dell’adolescenza e docente di psicologia all’università degli studi di Milano-Bicocca Matteo Lancini uno dei temi che rimane sullo sfondo quando si discute di disagi vissuti dagli adolescenti è la fragilità degli adulti. È uno degli argomenti che Lancini affronta nel suo ultimo libro Chiamami adulto, come stare in relazione con gli adolescenti (Raffaello Cortina editore 2025). Secondo lo psicologo gli incel e la manosfera devono essere inclusi in un panorama più ampio, che mostra l’aumento di una sorta di ritiro sociale degli adolescenti maschi.
“La loro ansia sociale è sempre più diffusa, è il corrispettivo dei disturbi alimentari per la ragazze. Ci parla di un contesto con forti pressioni prestazionali per i ragazzi, che scelgono di suicidarsi socialmente, proprio nel momento in cui invece dovrebbero sbocciare socialmente”, spiega lo psicologo. Molti adulti ora se la prendono con la tecnologia e con le dinamiche tossiche coltivate online, ma per lo psicologo prima di questo c’è una generazione di genitori più soli e spaesati, che non riesce ad ascoltare i figli e ad accoglierli, sopratutto quando gli confessano stati d’animo negativi come la rabbia, la frustrazione, il senso di inadeguatezza.
“I ragazzi vanno online ad affrontare questioni emotive e problemi che non riescono a risolvere, spesso hanno accanto figure genitoriali deboli o inconsistenti”, spiega lo psicologo. Ora parliamo degli incel, ma già in passato gruppi neonazisti o suprematisti bianchi hanno canalizzato la rabbia di molti adolescenti problematici. “Ho incontrato nella mia carriera ragazzi fragilissimi, che abbassavano lo sguardo quando incontravano un coetaneo o che avevano una forte fobia scolastica, poi su internet si radicalizzavano e magari seguivano dei gruppi neonazisti”, racconta Lancini, che tuttavia sottolinea quanto la questione abbia molte sfumature.
Non c’è solo il tema della crisi dei modelli tradizionali, in una situazione in cui però certi ruoli sopravvivono spesso in forme più estreme, ma anche quello della crisi delle relazioni amorose e di coppia come ambito principale delle relazioni affettive. “I ragazzi parlano sempre più spesso di situationship, di situazioni, e tematizzano la difficoltà di gestire la fine di una storia. La nostra generazione pensa che l’aspetto faticoso sia quello della ‘manutenzione’ delle relazioni, ma non vogliamo accettare che anche la fine delle relazioni è un tema molto importante, soprattutto per i più giovani, che implica un percorso, un lavoro di elaborazione per dare un senso all’esperienza avuta, andare avanti e lasciarsela alle spalle”, spiega Lancini.
In generale siamo in una situazione in cui si mette al centro la realizzazione di sé e l’autonomia, anche a discapito delle relazioni, e quando questo entra in conflitto con l’altra persona diventa molto complicato da gestire.
“Abbiamo dei genitori più presenti, che si dedicano di più ai figli, ma che allo stesso tempo sono più proiettivi, incapaci di accettare le sfumature conflittuali o negative del rapporto con loro. Quando incontriamo quelle emozioni o ci disturbano per via del nostro sistema di valori o abbiamo poco tempo per farci i conti, perché lavoriamo molto, e allora rimuoviamo la tristezza, la paura e la rabbia dei ragazzi. Non legittimiamo questi sentimenti, perché implicano un cambiamento dei nostri programmi, una relazione. Ma dobbiamo capire che la prevenzione di qualsiasi forma di violenza passa solo dalla relazione. Quella vera”, conclude.
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